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Come uscire dalla dipendenza affettiva

Come uscire dalla dipendenza affettiva

Ci si chiede spesso se è possibile uscire dalla dipendenza affettiva.

La risposta a tale domanda è positiva.

Infatti uscire dalla dipendenza affettiva, per quanto difficile e doloroso, non è comunque impossibile.

È indispensabile, innanzi tutto, diventare più consapevoli della propria situazione relazionale.

Si parla di Dipendenza Affettiva quando l’affetto e l’amore verso una persona assumono caratteristiche tipiche della dipendenza, con tutti i sintomi negativi che purtroppo contraddistinguono questa dinamica psicologica.

La persona sperimenta e ricerca in modo continuo il desiderio di fusione con l’altra persona (atteggiamento tipico della prima parte di un rapporto affettivo, ma tendente alla diminuzione e alla stabilizzazione nel tempo).

In tal modo pensieri, atteggiamenti, emozioni, spazi e tempi sono completamente dedicati all’altro/a. Il partner diventa unico scopo di vita, risolutore di problemi personali, ideale da seguire e perseguire, modello di identificazione e, quindi, esistenza stessa.

 

Ma quando amiamo troppo?

Amiamo troppo quando:

  • Essere innamorati significa soffrire;
  • Con gli amici/che parliamo di lui/lei, per es., dei suoi problemi, di quello  che pensa, dei suoi sentimenti;
  • Giustifichiamo i suoi malumori, il suo brutto carattere, la sua indifferenza;
  • Ci adattiamo anche se non ci piacciono i suoi atteggiamenti e    comportamenti, pensando che, se saremo abbastanza affettuosi, cambierà;
  • La relazione mette a repentaglio il nostro benessere emotivo, la nostra salute e la nostra sicurezza;
  • Siamo convinti che una relazione intima debba essere fatta così, nonostante l’insofferenza e l’insoddisfazione che proviamo;
  • Abbiamo un/una partner incompatibile con i nostri sentimenti, i nostri valori, che non è disponibile. Eppure non riusciamo a lasciarlo/la, perché ne abbiamo bisogno sempre di più.

Più che amore, questo tipo di relazione si può chiamare una fissazione.

Un amore basato sulla dipendenza affettiva dall’altro lascia pensare che, dietro tale ossessione per la persona amata, ci sia la paura, non l’amore.

Paura di rimanere soli, di essere ignorati, di non essere degni di considerazione e di essere abbandonati.

La persona offre amore sperando che il/la partner lo/la protegga dalla paura e sperando di essere ricambiata.

Ma la strategia non funziona e allora si riprova, riprova all’infinito e si ama sempre di più.

È necessario conoscere le storie personali per comprendere come mai si sviluppa la predilezione per questo tipo di rapporti, che procurano così tanta sofferenza

Alcune ricerche hanno evidenziato una correlazione tra l’insorgere di un comportamento di dipendenza affettiva in età adulta e alcune dinamiche familiari vissute durante l’infanzia.

Qualche esempio:

  1. L’impossibilità, da parte del bambino, di sperimentare il senso di  sicurezza rispetto alla figura affettiva di riferimento;
  2.  Tendenza ad assumere con il partner lo stesso ruolo assunto durante      l’infanzia con il genitore di riferimento;
  3. Provenienza da una famiglia che tende ad ignorare le percezioni e i  sentimenti del bambino che, di conseguenza, comincia ad adattare le  proprie percezioni a quelle delle figure genitoriali, perdendo la capacità di  entrare in contatto con i propri stati d’animo autentici e la fiducia nelle  proprie sensazioni;
  4. Alto livello di conflittualità, tensione e violenza tra i genitori o tra questi e i  figli;
  5. Genitori in competizione tra loro, manipolatori nei confronti del bambino  con cui cercano di allearsi a discapito del coniuge;
  6. Genitori a loro volta dipendenti da sostanze.

A volte, anzi spesso,  le persone dipendenti affettivamente, in particolare nei casi di co-dipendenza (entrambi i partner dipendono dall’uno e dall’altro) nella coppia, manifestano alcuni sintomi collegati alla loro modalità relazionale, quali:

  • Disturbi d’ansia
  • Insonnia
  • Depressione
  • Disturbi alimentari
  • Abuso di alcool o di sostanze.

Sono tutti sintomi riconducibili ad uno stato psicofisico di stress.

Vediamo ora come uscire dalla dipendenza affettiva e costruire un altro tipo di relazione!

Uscire dalla dipendenza affettiva, per quanto difficile e doloroso, non è comunque impossibile.

È indispensabile diventare più consapevoli della propria situazione relazionale ed avere un supporto psicoterapeutico che incoraggi a cambiare il proprio comportamento ed a trasferire un po’ di amore ed attenzione dal/la partner a se stessi, alla propria salute ed alla propria vita.

Non ci sono scorciatoie per liberarsi della dipendenza.

I percorsi terapeutici suggeriti consistono nella terapia:

  • di coppia:nel caso in cui entrambi i partner avvertano il disagio nella relazione e siano motivati a cercare una soluzione un percorso di coppia può essere molto utile anche per contrattare di nuovo alcune regole fondamentali dello stare insieme.
    • di gruppo:confrontarsi e condividere con altre persone la propria difficoltà è di gran giovamento.
    • Individuale: per riflettere ed elaborare nuove modalità per ritrovare il proprio benessere personale con o senza l’altro/a.

Che cosa sono i fiori di bach

Che cosa sono i fiori di bach

Qual è il principio di base di Eduard Bach?

L’aiuto mediante le essenze dei fiori selvatici ha come principio di base che corpo, mente e spirito sono strettamente collegati fra loro. Da questa concezione deriva l’idea che salute e benessere dipendono dall’equilibrio dinamico di queste tre componenti, mentre qualsiasi alterazione sia, potenzialmente, causa di malattia.

 

A cosa attribuiva importanza Bach?

Attribuiva grande importanza allo stato di salute mentale della persona, ritenendo che una condizione psichica disturbata potesse costituire un terreno favorevole per l’insorgenza della malattia. Era convinto (la psicosomatica lo ha oggi confermato) che le emozioni negative condizionano i pensieri ed anche il corpo, indebolendo il sistema immunitario al punto da rendere tutto l’organismo più esposto alle malattie.

 

Che cos’è’ la malattia secondo il medico inglese?

La malattia, secondo E. Bach, doveva essere interpretata come segnale di un disagio psicologico profondo che si esprimeva sotto forma di uno o più sintomi in questo o in  quell’organo.

Avendo, inoltre, osservato che una medesima terapia non sempre riesce a curare gli stessi identici sintomi in pazienti diversi ed avendo accertato che una stessa causa scatenante (ad esempio uno shock profondo) può originare disturbi fisici assai diversi tra loro, giunse alla conclusione che non è tanto il sintomo a dover essere trattato, quanto lo stato psicologico (causa) che l’ha determinato.

 

Come agiscono i fiori di Bach?

Per comprendere come agiscano  è innanzitutto necessario partire dal  concetto secondo il quale ogni cosa vivente è infusa di energia, o forza vitale. Non è possibile vedere né toccare tale energia ma, come l’aria che si respira, è indispensabile per la vita.

Il potere curativo dei fiori è contenuto nelle loro particolari qualità energetiche o vibrazionali.

La struttura energetica di ogni fiore è unica, così come uniche sono le sue caratteristiche.

L’essenza floreale contiene esclusivamente l’energia del fiore.

 

Dove agiscono i fiori di Bach?

Come tutte le entità viventi, anche l’uomo è infuso di energia. Un’energia che permea ogni parte del suo essere e la cui abbondanza va di pari passo con lo stato di salute e il livello di vitalità.

Per questo motivo è fondamentale trattare ogni individuo come un essere unico, cercare di conoscerlo più a fondo per tentare di comprendere la causa del disturbo o della malattia.

Il bello delle essenze floreali è che aiutano a diventare consapevoli della presenza nel proprio essere di elementi che minano il personale senso di benessere.

Le essenze floreali lavorano con l’individuo, gli permettono di vedere gli squilibri che sono dentro di lui e, infondendogli energia, gli permettono di liberarsi di ciò che gli impedisce di essere felice.

 

Quando possono portare giovamento?

I Fiori di Bach possono portare giovamento in tutti quei casi in cui gli stati d’animo non sono buoni, per esempio dalla timidezza o irritabilità, fino alla depressione o attacchi di panico, inclusi quei casi in cui tensioni emotive o stress possono dare origine a problemi come sudore alle mani, difficoltà di concentrazione, insonnia, tensioni muscolo-tensive, ecc…

 

E’ possibile farne uso quando non si ha un buon rapporto con il cibo?

Cambiare il modo di alimentarsi significa agire sul nostro stato emozionale ed è sempre difficile rinunciare a quei sapori che per il nostro corpo sono “la cura” per le disarmonie presenti.

Il cambiamento è faticoso ed, durante il percorso, l’aiuto dei fiori di Bach è un sostegno valido.

 

Ed in menopausa?

Certamente si!

Anche la menopausa è un periodo della vita della donna in cui avvengono importanti cambiamenti e si possono verificare sbalzi d’umore, irritabilità, insonnia ecc…

 

Quali sono gli effetti collaterali?

I Fiori di Bach non interferiscono con i farmaci tradizionali o con quelli omeopatici, e non provocano effetti indesiderati.

 

Chi può farne uso?

Adulti,bambini, anziani, adolescenti, donne in gravidanza, possono farne uso sicuro. Addirittura si somministrano con successo a piante e animali.

 

Come e quando farne uso?

La cura con i fiori si occupa della persona con i suoi disagi, le emozioni, le difficoltà che si trova ad affrontare in un dato momento della vita.

Solo avendo una profonda conoscenza, possibile mediante una consulenza psicologica e/o psicoterapia, di almeno una parte di questi problematiche sarà possibile preparare una miscela veramente personale.

Il sintomo, infatti, è solo un aspetto, ma non dice molto della persona che lo manifesta, delle cause, delle situazioni scatenanti.

Di solito suggerisco l’uso di una miscela dei fiori di Bach durante un percorso psicoterapeutico, inoltre, se e quando è necessario, propongo di modificare la miscela o di usarne una nuova o anche la sospensione momentanea.

Autosabotaggio: quando ci tramutiamo nel nostro stesso ostacolo

Autosabotaggio: quando ci tramutiamo nel nostro stesso ostacolo

L’autosabotaggio può essere definito come un meccanismo non consapevole della mente che ti porta a creare ostacoli nel cammino verso i tuoi obiettivi.

Capita molto spesso purtroppo che nonostante il nostro impegno non si ottengano i risultati voluti.

Quante volte hai avuto questa sensazione e ti sei ripetuto “Ho fatto di tutto, ma non c’è proprio soluzione”.

Ti stai autosabotando!

L’autosabotaggio è una strategia che ha l’obiettivo di limitare, rallentare ed evitare il raggiungimento di un risultato personale. È un automatismo che pone un freno alla nostra crescita personale e al raggiungimento degli obiettivi  che ci siamo prefissati, perdendo l’occasione di poter migliorare la qualità della nostra vita.

La mente teme ed evita il cambiamento e tutto quello  che ne consegue,soprattutto quando è insicura e sottoposta a stress elevato.

Per aiutarsi  crea delle barriere che fanno sentire a disagio quando si comincia ad esplorare una situazione  che non si conosce, mai provata prima. Disagio rispetto al sentirsi a proprio agio.

La mente, così,  fa di tutto per farci restare ancorati a ciò che comunque conosciamo.

Ecco alcune forme frequenti  di auto sabotaggio:

  • Rimandare
  • Indecisione
  • Perdere tempo
  • Essere sempre accondiscendenti con gli altri
  • Mania di perfezionismo
  • Lamentarsi e avere un atteggiamento da vittima
  • Mantenere relazioni non soddisfacenti
  • Indugiare con il cibo, il fumo, l’acool e gli stupefacenti
  • Abitudini scorrette

Tutte queste modalità servono essenzialmente a scaricare la responsabilità dei propri insuccessi.

Quindi se è vero che una certa rigidità e svogliatezza cognitiva è anche fisiologica bisogna cercare di capire i meccanismi che la mantengono per evitare che si ritorca contro di noi.

Il nostro apparato mentale ci indirizza in automatico a ripetere sempre gli stessi schemi, gli stessi metodi e, di conseguenza, le stesse soluzioni.

Questo ripetere sempre lo stesso è funzionale all’economia mentale e dona anche un non trascurabile senso di sicurezza.

 Ma la nostra mente può fare molto di più!

Siamo noi che dobbiamo educarla e portarla verso altre competenze. Non dobbiamo andare dietro alla mente che agisce in automatico.

Interrompiamo gli automatismi della mente insegnandogli altri pensieri.

È basilare far diventare automatici i nuovi pensieri!

All’inizio è faticoso! Ma dandosi tempo e con pazienza diventeranno automatici.

Così è anche per le azioni.

Facciamo un esempio.

Abbiamo cambiato posto al carica batteria del nostro cellulare, ogni volta che lo dobbiamo mettere sottocarica lo cerchiamo dove stava prima e ci chiediamo dove l’abbiamo messo senza ricordarci che lo abbiamo spostato. Succederà svariate volte prima di ricordarci il nuovo posto, se ogni volta non facciamo mente locale, ma agiamo, appunto in automatico.

Prestando attenzione si può costruire lo schema di un altro gesto che, un po’ alla volta, diventerà automatico ed entrerà a far parte del repertorio delle nostre abitudini.

Se perdessimo questa capacità che ci fa essere altro rispetto ai nostri schemi mentali perderemmo, di volta in volta, la capacità di scegliere lo schema più opportuno per adattarci alla realtà e per modificarlo creativamente rispetto alle nostre esigenze.

Siamo normalmente dentro lo schema delle nostre routine, ma possiamo anche uscirne!

Certo non senza investire energie, non senza impegno e una buona dose di fiducia e coraggio.

Ma invece che facciamo?

Nel tentativo di risolvere ci sabotiamo imponendoci delle restrizioni non richieste!

È come se ci dicessimo: “Non devo né posso uscire dalla zona di confort!”

Come se non fosse lecito per noi uscirne.

Ce lo impediamo da soli.

Così continuiamo a ritrovarci sugli stessi errori fino a confermarci che non c’è soluzione al nostro problema.

È così per la nostra vita in generale!

 

Sintomi fisici dell’autosabotaggio.

Quando la nostra anima cerca di avvisarci che non c’è equilibrio tra il nostro fare ed il nostro sentire ed il fisico non riesce a trovare più l’armonia di cui necessita per stare in salute,  non potendo parlare, ci avvisa con  sintomi fisici che ci costringono a fermarci:

  • Attacchi di panico
  • Depressione
  • Blocchi muscolari
  • Comportamenti inadeguati.

Imparare ad ascoltare i sintomi, non spostare l’attenzione su di loro preoccupandoci, e comprendere i reali motivi dell’insuccesso per riuscire a vivere in armonia con se stessi  aiuta a ritornare sulla giusta per rimetterci in cammino verso i nostri obiettivi.

E’  meglio prendersi una pausa per capire i nostri reali bisogni e le nostre vere aspirazioni.

Se ignoriamo tutto ciò i sintomi fisici si faranno sempre più insistenti e frequenti.

Attribuire le colpe agli eventi e al destino distoglie lo sguardo da ciò che realmente sentiamo e non porta a capire i veri motivi dell’insuccesso.

Altra forma di autosaboggio! Non sono le circostanze!

Siamo noi a sabotare inconsapevolmente il raggiungimento delle mete prefissatre.

Per qualsiasi azione si voglia intraprendere, la piena fiducia in sé equivale alla consapevolezza delle abilità che sappiamo e possiamo mettere in atto, come anche di quelle capacità sulle quali è necessario ancora un lavoro di approfondimento e di costruzione di efficacia.

La fiducia nella propria persona deve essere un esame oggettivo del nostro carattere e delle capacità così da poterci indirizzare rispetto alle scelte e alle azioni.

Chi ha piena fiducia in sé , consapevolezza reale delle sue capacità e caratteristiche, anche criticato, è stabile sulle sue gambe dall’inizio alla fine di ogni azione.

Avrete capito il principale blocco della nostra autostima è lo stress.

Se prima non pensiamo ad imparare  a gestirlo tutti i nostri tentativi saranno vani!

TERAPIA EMDR

TERAPIA EMDR

L’EMDR (Desensibilizzazione e Rielaborazione attraverso i Movimenti Oculari, Eye Movement Desensitization and Reprocessing) è un metodo scoperto nel 1987 da Francine Shapiro e riconosciuto in ambito scientifico ed accademico. Oggi è considerato il trattamento principale per il Disturbo Post Traumatico da Stress (DSPT). È approvato dal nostro Ministero della Salute dal 2003 e, dal 2013, dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Attualmente è un approccio terapeutico ampiamente usato anche per il trattamento di vari disturbi psicologici.

Un principio essenziale in grado di spiegare quanto accade durante l’applicazione dell’EMDR consiste nel considerare l’esistenza di un sistema innato fisiologicamente disposto ad elaborare le informazioni in un’ottica di autoguarigione.

Tale sistema è fisiologicamente orientato alla salute.

Secondo questa prospettiva il disturbo subentrerebbe quando questo sistema innato si blocca e l’evento traumatico rimane isolato dalla rete neurale non integrandosi al sistema innato che spinge ognuno di noi verso l’autoguarigione.

Nel caso che una persona viva un evento traumatico tale sistema innato di elaborazione delle informazioni potrebbe arrestarsi e, quindi, l’esperienza del trauma rimane irrisolta. Esperienze particolarmente stressanti possono rimanere congelati nel tempo nella rete neurale che è venuta a formarsi, incapaci di connettersi alle reti di memoria contenenti le informazioni adattive.
Queste situazioni di stress estremo provocano una sorta di corto circuito tale che i frammenti dell’esperienza traumatica (le immagini, le emozioni e le sensazioni corporee) vi rimangono rinchiusi.

 

Traumi con la “T” maiuscola e la “t” minuscola

Tutti noi siamo esposti alla possibilità di sperimentare traumi psicologici.
Esistono Traumi che si possono definire

1) con la “T” maiuscola che minacciano la nostra integrità come terremoti, incidenti stradali, aggressioni, stupri, suicidi, diagnosi sfavorevoli;
2) con la “t” minuscola che, anche se sembrano oggettivamente poco rilevanti, possono assumere un peso soprattutto se ripetute nel tempo o subiti in momenti di vulnerabilità o nell’infanzia.

È allora che trascuratezza, paure, abbandoni ed umiliazioni possono lasciare un segno modificando i nostri atteggiamenti ed emozioni come anche le relazioni con gli altri, ma, soprattutto, fissandosi indelebilmente in specifiche aree del cervello, come dimostrato da studi nel campo della neurobiologia.
In tutti i casi le sensazioni del trauma sono vive, sembra che l’evento sia appena accaduto anche se in realtà è avvenuto molti anni prima.
Gli strascichi più frequenti sono ansie, attacchi di panico, colpevolizzazioni, sensazioni di insicurezza e mancanza di autostima.

La Terapia EMDR è un metodo che, attraverso una serie di movimenti oculari di stimolazione bilaterale, viene riattivato il Sistema Innato di elaborazione delle informazioni che agevola il processo di desensibilizzazione e di rielaborazione dei ricordi traumatici.
Tali stimolazioni bilaterali oculari, effettuate dal terapeuta appositamente formato, favoriscono una migliore comunicazione tra gli emisferi cerebrali e si basano su un processo neurofisiologico naturale.

Dopo alcune sedute di EMDR, i ricordi disturbanti legati all’evento traumatico perdono la loro carica emotiva negativa. Il cambiamento è molto rapido, indipendentemente dagli anni che sono passati dall’evento. L’immagine cambia nei contenuti e nel modo in cui si presenta, i pensieri intrusivi in genere si attutiscono o spariscono, diventando più adattivi dal punto di vista terapeutico e le emozioni e sensazioni fisiche si riducono di intensità. L’elaborazione dell’esperienza traumatica che avviene con l’EMDR consente alla persona di cambiare prospettiva, cambiando le valutazioni cognitive su di sé, assimilando emozioni adeguate alla situazione oltre ad eliminare le reazioni fisiche. Questo permette, in ultima istanza, di adottare comportamenti più adattivi.

 

Dopo l’EMDR la persona ricorda ancora l’evento, ma sente che tutto ciò appartiene al passato, infatti i ricordi disturbanti, legati all’esperienza traumatica, si modificano. I pensieri intrusivi si attutiscono o spariscono come anche le emozioni e sensazioni fisiche si riducono di intensità.
Gli eventi traumatici perdono così l’iniziale impatto emotivo per venire trasformati in una risorsa positiva, preziosa per il benessere della persona.

IL DISTURBO POST TRAUMATICO DA STRESS

IL DISTURBO POST TRAUMATICO DA STRESS

In seguito a che cosa si può verificare un disturbo post-traumatico da stress? 

Il disturbo post traumatico da stress si verifica in seguito ad un trauma molto forte subito dalla persona.

Nel disturbo post-traumatico da stress si ha una risposta estrema ad un fattore fortemente stressogeno, risposta che comprende un aumento notevole del livello di ansia, l’evitamento degli stimoli associati al trauma ed un indebolimento della reattività emozionale.

 

Da che cosa è causato un disturbo post-traumatico da stress?

L’origine di questa condizione è un evento traumatico che la persona ha vissuto direttamente, o a cui ha assistito, e che ha implicato:   

1)  la  morte, la minaccia di morte, o gravi lesioni (es. incidenti automobilistici, terremoti, alluvioni);      

 2)  una minaccia all’integrità fisica propria o di altri (es. abuso, violenza fisica o psicologica).  L’evento deve avere creato una paura intensa, orrore e un senso di impotenza.

Quindi, la causa primaria del disturbo post-traumatico da stress risiede in un evento esterno, non nella persona.

 

Come si reagisce al trauma nel caso di incidenti o terremoti?

Nel caso di evento singolo e non previsto, la persona  tende a imprimere nella memoria l’avvenimento  in maniera molto dettagliata.

Il ricordo è vivo e ricorrente. IL  ripercorrere quanto avvenuto è  un  tentativo di collocarlo in una logica e darvi la spiegazione che lo renda più tollerabile.

 

Come si reagisce, invece, al trauma nel caso di abusi o violenza?

Nel trauma causato da abuso o violenza, che perdura nel tempo e si ripete più volte, la persona tende a cancellare e rifiutare fortemente quanto accaduto e a rimuoverlo dalla memoria storica e da quella emotiva.

 

Da cos’ altro è caratterizzato tale disturbo?

E’ caratterizzato da:

1) abbassamento della reattività generale che si manifesta:

  • nel diminuito interesse per gli altri;
  • nel senso di distacco e di estraneità;
  • nell’ incapacità di provare emozioni positive.

2) instabilità, un passaggio, cioè, attraverso fasi alterne in cui la persona dimentica l’ esperienza traumatica e altre in cui essa riaffiora violentemente.

3) presenza di sintomi di aumentata attivazione fisiologica quali:

  • la difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno;
  • la difficoltà a concentrarsi;
  • l’ ipervigilanza ed esagerate risposte di allarme finalizzate a combattere le immagini prodotte dalla loro mente e la notevole intensità delle loro risposte di allarme.

La presenza di un Disturbo Post Traumatico da Stress porta con sé, quindi, la frequente rivisitazione del trauma.

 

Cosa comporta questo frequente ritorno al trauma?

Il ritornare continuamente con la mente all’evento traumatico determina un malessere molto alto nelle persone che li vivono e innalzano fortemente la soglia d’allarme che mette in azione tutta la parte fisiologica con cui il nostro organismo reagisce ad un possibile pericolo seppur interno e non concretamente individuabile nella realtà.

Spesso sono determinati dal verificarsi di avvenimenti o dal presentarsi di stimoli simili o associati all’evento che ha causato il trauma e che,  a prima vista, possono sembrare insignificanti (un odore, un colore, un oggetto, una frase, etc.).

Questo costringe la persona a mettere in atto delle strategie di difesa estremamente dispendiose sul piano delle energie emotive e fisiche per evitare tutto ciò che possa ricondurre all’evento traumatico.

 

Quali altre difficoltà può vivere la persona?

Altri problemi che si associano a tale disturbo sono:

  • ansia, depressione;
  • rabbia;
  • senso di colpa;
  • abuso di sostanze;
  • problemi coniugali e sul lavoro;
  • pensieri e progetti di suicidio;
  • episodi esplosivi di violenza;
  • problemi di natura psicofisiologica come dolori lombari, cefalea e disturbi gastrointestinali.

 

Tutte le persone che vivono un evento traumatico sviluppano un disturbo post-traumatico da stress?

Non tutte. Si può dire, quindi, che l’evento in sé non può essere l’unica causa del disturbo.

 

Cosa è utile fare?

Innanzi tutto è necessario considerare che il sovraccarico causato da un trauma e’ quasi sempre non affrontabile da soli.

Sapere, inoltre, che chi sta affrontando le conseguenze di un evento traumatico non sta impazzendo o pagando chissà quale colpa.

E’ importante e molto utile, quindi, cercare un aiuto specialistico, come quello di uno Psicoterapeuta.

Come nasce la Paura di Impazzire

Come nasce la Paura di Impazzire

Come nasce la paura di impazzire?                         

La paura di impazzire è uno stato d’animo generalmente associato all’ansia e agli attacchi di panico.

Infatti gli attacchi di panico possono considerarsi quasi come una manifestazione fisica di tale paura.

Tale paura nasce dalla sensazione di perdita totale di controllo.

La paura di stare male porta a fare strani pensieri sulla vita, sulla realtà e la testa va in confusione. Questi pensieri aumentano il timore di avere qualcosa di strano e la paura diventa angoscia.

A volte questo pensiero è solo temporaneo, in altri casi può diventare quasi un’ossessione. 

 

Come fare per non fartene condizionare?

L’ansia può manifestarsi anche con sintomi quali, per esempio, forte senso di irrealtà, sensazione di estraneità dal proprio corpo e da quello che ci circonda.

Tali sensazioni spaventano in maniera eccessiva e sapere che si tratta di ansia e nient’altro, per quanto spaventosa possa essere, forse può essere d’aiuto.

Inoltre, questi brutti pensieri e strane sensazioni se ne vanno piano piano da soli, naturalmente.

 

Come superarla?

Non esiste un’unica soluzione: per ogni persona esiste una chiave, legata alla sua storia, che la può riportare a contatto con la realtà e ridimensionare lo stato di angoscia.

Un modo efficace per cercare di superare la paura di impazzire è quello di parlare e condividere questo stato d’animo, le sensazioni che si provano ed i sintomi.

Per essere supportati nel modo migliore sarebbe utile cercare aiuto rivolgendosi ad uno psicoterapeuta.

Come affrontare un attacco di panico

Come affrontare un attacco di panico

Che cos’è un attacco di panico?

L’attacco di panico è una condizione di intensissima paura, che provoca una forte sofferenza, sopraggiungendo improvvisamente.

Esso dura generalmente alcuni minuti, ma causa all’ individuo un notevole livello di angoscia.

 

Come reagisce la persona la prima volta?

Chi ne viene colpito la prima volta tende a fraintendere ciò che sta accadendo, perché gli attacchi di panico sono tanto sconvolgenti da indurre un disorientamento psicologico profondo, in chi li subisce.

Il primo attacco di panico generalmente arriva all’ improvviso ed inaspettatamente, per cui la persona prova un enorme paura e, spesso, ricorre al pronto soccorso.

 

Cosa pensano le persone?

Le persone sono molto preoccupate, solitamente, delle possibili implicazioni degli attacchi e temono di avere un qualche tipo di grave malattia, pericolosa per la vita, non diagnosticata.

Alcune persone temono che gli attacchi di panico siano indice di pazzia o di perdita di controllo degli impulsi emotivi.

Qual è la caratteristica principale?

La caratteristica principale è la ricorrenza inaspettata e la preoccupazione, persistente, che possa manifestarsene un altro.

La persona vive nell’assillo delle possibili conseguenze e soprattutto orienta il suo comportamento in seguito all’attacco, evitando situazioni, luoghi e circostanze in cui teme che possano verificarsene altri.

 

Perché si parla di evitamento situazionale?

Di fatto le fobie che sviluppano le persone con disturbo da attacchi di panico, non vengono dalla paura di oggetti o eventi reali, ma piuttosto dalla paura di avere un altro attacco.

In alcuni casi, le persone eviteranno certi oggetti o situazioni (evitamento situazionale) per via della loro paura che queste possano far scaturire un altro attacco e subire ancora i sintomi di un attacco di panico.

Invece, non è importante la causa dell’ attacco, ma gli  stimoli (luci, odori, battito accelerato) presenti in quel momento che, se si avvertono in un’ altra situazione, verranno interpretati come precursori di attacchi di panico.

 

Quali sono i sintomi?

– Accelerazione cardiaca;

– Palpitazioni;

– Tachicardia;

– Dolore toracico;

– Tensione crescente;

– Sudorazioni;

– Tremori;

– Sensazione di soffocamento;

– Paura di perdere il controllo;

– Paura di morire;

– Paura di impazzire.

 

Che caratteristiche di personalità hanno le persone che ne soffrono?

Di solito si presentano come persone molto forti, che ostentano sempre grande sicurezza, che non si appoggiano mai agli altri e che pensano di sapere tutto.

Testardi ed ostinati nelle scelte e nelle decisioni, non manifestano mai le loro emozioni e non riconoscono quelle degli altri.

Lavoratori instancabili, sopprimono ogni malessere di tipo psicologico.

Questa tipologia di persona viene vista dall’esterno come persona determinata e propositiva,  con un forte carattere .

Può capitare, però, che una qualunque circostanza imprevedibile vada ad interrompere quell’equilibrio fittizio che si è costruito.

Questo tipo di persona non possiede gli strumenti necessari per un plastico adattamento ad eventi negativi imprevedibili, perché  i suoi processi, cognitivi e comportamentali  sono unilaterali e rigidi.

La conseguenza di tutto ciò è la perdita di controllo  sulle situazioni esterne e una disorganizzazione della struttura psichica interna, che porta ad angoscia, senso di vuoto, panico e smarrimento.

 

Quali sono le conseguenze degli attacchi di panico se non curati?

La qualità della vita può essere seriamente danneggiata.

I dati della ricerca-studio hanno mostrato che le persone che ne soffrono:

–  possono essere inclini all’ alcol e ad altri abusi di droghe;

–  passano più tempo nelle sale d’ emergenza degli ospedali;

–  passano meno tempo con i loro hobby, sport ed altre attività più appaganti;

–  tendono ad essere finanziariamente ed emotivamente dipendenti da altri;

–  hanno paura di guidare  o di camminare da sole anche per brevi distanze da casa (agorafobia).

 

Dagli attacchi di panico si può guarire?

Si.

 

Che cosa è importante fare?

Data  la forte tendenza di questi disagi a diventare cronici, dato l’ alto livello di compromissione del funzionamento sociale e della vita relazionale, data l’ intensa sofferenza soggettiva che provocano nella persona è importante:

a)  accettare l’ ansia come un fatto fisiologico che non può essere combattuto e gestito;

b)  riconoscere che la buona volontà non basta e che si ha bisogno di un aiuto;

c)  intraprendere un percorso terapeutico che preveda anche l’ integrazione di più interventi che si completino a vicenda.

Le paure di stare in coppia

Le paure di stare in coppia

L’incapacità di vivere serenamente una relazione è una difficoltà reale e coinvolge sia donne che uomini.

Tutti cercano l’amore della vita, ma a volte vivere una relazione spaventa.

È la paura di innamorarsi!

 Perché sono presenti  resistenze mentali, che bloccano e non permettono di vivere serenamente una storia d’amore.

Altri parlano di anoressia sentimentale, quando non si riesce ad amare per il timore di soffrire ancora, ipercontrollando i propri sentimenti. Sono tante le sfaccettature della stessa dinamica, che impedisce di stare in coppia e costruire un futuro assieme.

Di solito È legato al timore di perdere il controllo della situazione, caratteristico delle persone molto razionali o di quelle che hanno sofferto per amore.

Si tratta di una sorta di stato di allarme che si attiva, il più delle volte in maniera non consapevole,  quando si percepisce che la storia si fa più seria e  ci si inizia a sentite dipendenti dall’altro.

 Il che, all’inizio di una relazione, è normale perché l’innamoramento comporta necessariamente una perdita di controllo, un affidarsi all’altro.

Quando però si è abituati a controllare sempre tutto, non si è disposti a vivere in funzione dell’altro. L’innamoramento è considerato una debolezza e l’altro diventa un potenziale pericolo.

Succede proprio l’opposto di quello che dovrebbe accadere in amore: invece che sentirsi sicuri vicino al partner, ci si sente fragili.  

Quando, pertanto,  i sentimenti sono intesi come causa di insicurezza, non ci si lascia più andare.

Se poi nel passato si è vissuta una relazione che  è stato fonte di sofferenza, si teme di ritrovarsi nella stessa sensazione.

Così Nelle storie successive la persona può scegliere di non darsi completamente all’altro e di razionalizzare, il più possibile il proprio coinvolgimento.

La relazione precedente ha lasciato ferite aperte!

Vediamo ora quali sono le paure femminili che bloccano:

  • L’essere presa in giro dal partner;
  • il terrore di essere tradita, che si sviluppa di solito dopo un’esperienza passata di infedeltà.
  • il timore che il partner possa cambiare. si pensa che il proprio partnere possa fuggire se gli si rivelano i propri sentimenti.

E quelle maschili? 

  • perdere la propria libertà quando la storia si fa seria, dover rinunciare ai propri spazi perché si teme il controllo da parte della compagna.
  • la paura di farla soffrire
  • La paura di cambiare idea sui sentimenti nel corso del tempo
  • La paura che il legame possa portare in futuro delle responsabilità e dei cambiamenti radicali nella propria vita.

Ci sono dei segnali, dei campanelli di allarme, che possono farci capire il perché non riusciamo a darci completamente al partner.

Per esempi:

  • Non voler entrare troppo nel mondo dell’altro, quindi si teme la condivisione.
  • Ma anche la riluttanza a fare una vacanza insieme, poiché questa costringe a vivere una quotidianità.
  • l’incapacità di parlare di sentimenti con il partner: poter dire ti amo o sentirsi dire ti amo.
  • la cautela a fare regali importanti o l’essere in difficoltà quando si ricevono.
  • il panico di programmare con il partner qualcosa che accadrà nel futuro a lungo termine”.

Esistono cattive abitudini mentali di intralcio nel sereno sviluppo di un rapporto a due? 

Per gli uomini, , restare ragazzini pronti solo e sempre a divertirsi, non rinunciare per niente al mondo agli amici, dire bugie,ricercare avventure, evitare responsabilità.

Le donne invece tendono a non chiudere la porta agli ex, soffrire sempre per amore, essere gelose, credere poco in se stesse e nella propria femminilità, essere esageratamente esigenti e controllanti”.

Imparare ad avere meno paura e provare a lasciarsi andare provando a considerare gli aspetti positivi della relazione che si sta vivendo e cioè il piacere di

  • sentirsi amati
  • essere sostenuti
  • divertirsi insieme e sentirsi spensierati
  • avere una progettualità

Certo non sempre ci si riesce da soli a vincere la resistenza a vivere una relazione a 360°.

Se è così chiedere aiuto ad uno psicoterapeuta che possa sostenerci a superare i blocchi che si hanno e ad imparare a lasciarsi andare è forse la strada più indicata per riuscirci.

Il carico mentale della donna nella coppia

Il carico mentale della donna nella coppia

Il fenomeno del carico mentale consiste nel pensare a tutto continuamente e , nello stesso tempo, di doverne fare altre per riuscire a coordinare la giornata di tutti i familiari nell’ambiente domestico.

Le dirette interessate sono le donne!

Il carico mentale consiste a tutte quelle piccole cose alle quali le donne pensano di continuo: per es. che è finito il dentifricio e bisogna aggiungerlo alla lista della spesa, che bisogna pagare le bollette che stanno per scadere o prenotare una visita medica.

Accade, così, che, nel corso della giornata, la donna interiorizza tutta una serie di sentimenti negativi fino a non riuscire più a contenerli e a quel punto esplode.

Il più delle volte è una reazione sproporzionata e mai rivolta verso il responsabile.

È una reazione naturale quando si è esaurita la scorta di pazienza e non si sono scaricate le tensioni un po’ alla volta.

Ecco che Il carico mentale  provoca tensioni all’interno della coppia.

Da un alto la donna rimprovera al partner di non assumersi responsabilità vedendo solo ciò che non fa e lo si biasima per la sua apparente indifferenza.

Lui sembra non capisca mai il nervosismo della sua compagna, mentre dovrebbe sapere quanto è complesso gestire casa e famiglia.

Affinchè le emozioni vengano rispettate e comprese occorre esprimerle!

Questa è una regola che è bene rispettare nella coppia!

Nessuno può indovinare ciò che sentiamo ed è anche possibile che non abbia idea che quel carico ci pesi.

Il mancato riconoscimento è il fattore principale dei litigi.

La responsabilità dell’amministrazione domestica è molto complessa come fosse una piccola azienda.

Se la donna ricopre tutti i ruoli contemporaneamente, la sua mente è, in modo costante , sotto pressione.

È  interminabile la lista di cose che affollano la mente delle donne e mamme.

Gli uomini ci sono ed compiono azioni: sono soltanto degli esecutori! Il suo atteggiamento sottintende:”Aspetto che mi dici cosa devo fare.”

La donna è la mente e l’uomo il braccio!

La donna, insomma, pone il pensiero non solo nelle cose da fare, ma anche su cosa delegare. Il carico mentale è sempre suo!

Se lavora ed arrivano dei figli, il carico mentale aumenta.

Al carico mentale domestico si aggiunge quello professionale!

Il ruolo di manager  familiare comporta anche un calo di efficacia come professionista, visto che ne ostacola la concentrazione.

Vede anche ridursi il tempo sul posto di lavoro: è sempre lei che deve tornare prima.

Una volta diventati consapevoli di tutto questo occorre cambiare modo di pensare .

Per riuscire ad innescare un cambiamento nella vita familiare è indispensabile cominciare a comportarsi in modo diverso.

 

SOLUZIONI

Se siete pronte a passare all’azione per liberarvi del carico mentale non dovete fare altro che trovare la combinazione più adatta alle vostre esigenze.

È indispensabile quindi:

  • Cambiare atteggiamento.
  • Cambiare modo di comunicare
  • Dividersi le responsabilità
  • Imparare a gestire lo stress
  • Focalizzare gli obiettivi
  • Amministrare il tempo.

Desidero sottolineare che la comunicazione è essenziale.

Quando nella vita le cose non vanno più bene è inutile aspettare che migliorino da sole e si adattino ai nostri bisogni.

Non accade mai!

Prendete in mano la situazione e parlatene!

La comunicazione deve essere costruttiva volta a cercare una soluzione, non il colpevole.

L’obiettivo della coppia è quello di gestire al meglio l’ambiente domestico.

Se per uno dei 2 partner la situazione non funziona più, sta alla coppia cercare una soluzione soddisfacente per entrambi i partner.

Non si tratta di avere ragione o torto. Anzi ciascuno ha ragione per motivi diversi.

Esprimere il proprio punto di vista, i propri sentimenti rispettando quelli dell’altro ed accettando che sono diversi e legittimi

Vuol dire cambiare atteggiamento!

Qualunque sia il problema parlarne consente di definirlo in modo più concreto e preciso.

Per fare in modo che la nuova organizzazione duri nel tempo è importante essere flessibili, adattandola alla situazione ed ai bisogni di entrambi.

Bisogna anche prestare attenzione che il carico mentale della donna non ricompaia se si presenta un cambiamento con il trascorrere del tempo.

Per esempio: un cambiamento sul lavoro, un trasferimento, la nascita di un figlio.

 

Come uscirne?

Tenendo presente che l’obiettivo di entrambi è quello di gestire al meglio l’ambiente familiare.

La soluzione è delegare in toto un’attività dall’inizio alla fine.

Bisogna realmente decidere di distribuire il carico mentale tra i due partner ed ognuno deve diventare il capo progetto nel settore di cui ha deciso di occuparsi.

L’essenziale è che ognuno gestisca  il proprio progetto dall’inizio alla fine.

Trovare nuove soluzioni richiede, però, una fase di adattamento.

Prendiamo in considerazione il fatto che, a causa del carico mentale domestico che pesa esclusivamente sulle proprie spalle, la donna raggiunge un consistente livello di stress.

È fondamentale imparare a gestire lo stress!

Solo così si può instaurare una nuova organizzazione egualitaria all’interno della coppia.

Anche l’uomo attraversa un periodo di cambiamenti ed ha bisogno di tempo per adattarsi alla nuova gestione .

È necessario che ciascun partner lavori sul proprio stress.

Ecco una riflessione su come funziona il nostro cervello sotto stress: quando ci troviamo sotto stress è la parte emotiva che ci dice cosa fare.

 È una reazione emotiva che prende il sopravvento a prescindere dal fatto che sia opportuno o meno.

Proprio per questo non è facile liberarsi dal carico mentale a cui ormai siamo abituate.

Per di più quando si è sotto pressione è difficoltoso concentrarsi su altre soluzioni.

In tale fase anche l’uomo rischia lo stress dato che sta imparando a prendersi nuovi impegni ed attività.

Sta cioè esercitandosi a prendersi un po’ di carico mentale della donna.

Anche l’uomo si sentirà oppresso!

Diamo la possibilità agli uomini di ricoprire il ruolo di responsabile familiare quando serve e alle donne quella di essere rappresentante, in modo meritevole, negli incarichi professionali.

Quindi trovare nuove soluzioni richiede una fase di adattamento in cui anche l’uomo, dovendo imparare a prendersi nuovi impegni, rischia lo stress!

Se per un partner la situazione non funziona più, è compito della coppia cercare una nuova soluzione accettabile per entrambi.

Non si tratta di avere ragione o torto, forse ciascuno ha ragione per motivi diversi. Solo esprimendo il proprio punto di vista, i propri sentimenti rispettando quelli dell’altro ed accettando che sono diversi

Riusciamo a cambiare atteggiamento ed a trovare una soluzione vantaggiosa per entrambi!

Nel caso sopraggiunga un affaticamento o altro, è indispensabile parlarne per cambiare procedura.

Che bello sapere di poter contare sull’altro!